Racconti Erotici > bdsm > Serva Vostra_M1
bdsm

Serva Vostra_M1


di FreyjaL
25.08.2024    |    403    |    2 9.6
"L’ano non è ancora soddisfacentemente elastico per accoglierlo e un lamento mi sfugge dalle labbra..."
La realtà, la mia prova del nove. Basta chiacchiere e virtuale.

Palazzo Braschi, piazza San Pantaleo.

Mi ci sono voluti 3 mezzi da casa per arrivare fino a qui, più cinque minuti a piedi, eppure se ce ne fossero voluti cinque di mezzi, otto o dieci sarebbero andati bene lo stesso.

- Cosa c’è da aver paura? - mi sono domandata per tutto il viaggio - hai smesso di avere paura il primo giorno che vi siete scritti, quindi perché stai tremando? -

Tanto più che all’inizio ci incontreremo in un luogo pubblico; lo hai scelto tu, entrare alla mostra degli Ukiyoe lo hai lasciato decidere a me. Che già solo visitare il palazzo in sé sarebbe stato un sogno. Eccolo il pensiero incongruente che mi rimbomba in un cervello vuoto per la troppa emozione.

Sono le nove e mezza, il museo apre alle dieci. Sono arrivata prima perché ad un certo punto non ero più capace di stare a casa e se ci fosse stato traffico sulla strada avrei rischiato di arrivare in ritardo – il solito timore di quando vengo a Roma.
Ancora non c’è nessuno davanti al palazzo, la piazza invece è gremita di persone, turisti verosimilmente e tra loro tu, il mio Padrone.

“La realtà è necessaria”, mi hai scritto quando hai deciso che dovevamo incontrarci, ne ero e ne sono pienamente consapevole, ma questo non mi impedisce di avere paura di non essere all’altezza. La realtà mi fa tremare fin nel profondo – un equilibrio instabile tra timore ed emozione.

Mi sono preparata con cura questa mattina, come mi hai visto già fare un'altra volta in cui sono andata a Roma, quel giorno hai deciso che mi sarei dovuta vestire così anche per il nostro incontro, quindi ho indossato la longuette nera con grossi pois bianchi, le autoreggenti, una canotta elegante e un cardigan corto con un unico laccio sul petto come chiusura, una collana di quarzo nero, lunga, con un pendaglio atto a diffondere l’essenza che uso come profumo.

Le scarpe invece le vuoi alte: ho scelto quelle nere con il tacco, plateaux comodo e laccetto alla caviglia.

Quando mi hai fatto passare un’intera giornata senza biancheria temevo che me lo avresti chiesto anche per oggi, per accontentarti lo avrei fatto senza indugio, ma per fortuna hai ordinato che indossassi uno dei miei completi.

Cerco un posto all’ombra, mi guardo intorno incuriosita cercandoti, anche se non so come immaginarti, so che sei alto e ti penso vestito in modo elegante, non eccessivamente ma sicuramente quanto basta per l’occasione.

I biglietti li abbiamo fatti online, ognuno il suo, e il mio ce l’ho aperto sul cellulare quando varco il grande portone del Palazzo.
L’appuntamento è davanti al quadro de “La grande onda di Kanagawa”; sono già lì, è il primo che cerco, praticamente ignorando tutto il resto. La tela sfonda meravigliosamente il blu della parete su cui fa bella mostra di sé, sola.

Dalla mia sinistra si avvicina un uomo alto, distinto, con la barba corta e curata, mi scruta da capo a piedi; io lo vedo solo con la coda dell’occhio, non mi giro a guardarlo, ma con la mano leggermente insicura estraggo dalla borsa il gingillo che mi sto rigirando tra le dita fin da quando sono salita sulla metro al parcheggio dell’Eur: è il telecomando del plug con cui abbiamo giocato per giorni.

Mi hai ordinato di indossarlo per oggi, non so se lo userai, ma questo passaggio sancisce senza ombra di dubbio alcuno che il mio corpo è tuo e ne farai ciò che è per il tuo piacere.

Lo sporgo all’uomo al mio fianco e attendo, sperando di non essermi fatta una pessima figura, come al solito.

“Lays!”

La tua voce mi coglie impreparata, non l’ho mai sentita prima, ma un lungo sospiro scioglie il nodo che mi attorcigliava lo stomaco; solo che, al contrario di quel che si potrebbe pensare, la tensione non scema, sale fino a farmi girare la testa. Ti accorgi che vacillo e mi sorreggi afferrandomi per il gomito.

La visita della mostra ci porta via poco più di un’ora, parliamo a mala pena, non siamo concentrati sulle meraviglie che stiamo guardando, la nostra testa è già altrove o quanto meno la mia. Mi muovo per le sale precedendoti di un passo, ma solo perché mi conduci e mi guidi sempre tenendomi stretta per il gomito.

Il plug sta incominciando a darmi fastidio, tuttavia non dico una parola.

“Lays! È ora di andare a sostituirlo.”

“Padrone…” ti rispondo come quando ci scriviamo e sono pronta ad eseguire un tuo ordine. La mia voce è un sussurro appena percettibile, ma lasci correre.

Mi sospingi verso l’uscita e, se fino a quel momento hai lasciato il plug silenziosamente spento, come varchiamo il portone del palazzo fai in modo che si accenda. Sussulto. Camminiamo per un po’ fino a giungere ad un parcheggio ed entrare in un’auto che immagino sia la tua.

Saliamo e prima di partire di volti verso di me: mi sento come sotto esame, hai una tua idea molto specifica di come mi comporterò ed agirò, te la sei fatta nell’istante preciso in cui hai letto i racconti che ho pubblicato e l’hai rafforzata in queste due settimane come tua schiava: ora sei curioso di capire se effettivamente sarà così, nella realtà, quindi non smetti di tenermi i tuoi occhi chiari puntati addosso.

Io guardo la punta delle mie ginocchia.

Parti.

Cerco di sistemarmi sul sedile meglio che posso, ma il plug sta facendo il suo effetto e non riesco molto a stare ferma. Ad un semaforo decidi di spegnerlo, il mio intimo però è già bagnato dei miei umori.

“Lays, scendi, siamo arrivati!”

Arrivati dove non lo so, ma obbedisco.

La vista sempre più offuscata dalla tensione, non mi accorgo di dove siamo ed entriamo, è una stanza luminosa con un arredamento che sembra da ufficio. Una specie di sala riunioni o qualcosa del genere.

Lungo una parete c’è un tavolo rettangolare, sul ripiano scuro spiccano i due fogli del contratto e il collare; una delle prime cose che mi hai scritto quando mi hai scelta è stata proprio quella: il contratto è pronto; il collare anche.

Al centro della stanza un divanetto e una poltrona divisi da un tavolino su cui giacciono inermi alcuni oggetti. Un’altra poltrona è accostata alla parete di fronte a quella del tavolo con a servizio un tavolino basso e rotondo al fianco, un grande tappeto è sistemato ai loro piedi.

Ti accomodi lì, allentando leggermente la cravatta, accavalli una gamba sull’altra, le scarpe sono in camoscio scuro, i calzini coordinati con il colore della camicia hanno un piccolo stemma sul lato.

“Lays! Ascoltami bene perché non lo ripeterò. Adesso ti dovrai spogliare, dovrai mostrarmi ciò che mi appartiene, ciò di cui ho deciso di prendermi cura. Toglierai solo gli abiti e le scarpe, per adesso, e resterai con la biancheria. Hai compreso bene?”

“Sì, Padrone.” Le lettere si incastrano una sull’altra, come se me le stessi mangiando.

“Lays! Scandisci bene quelle parole, non ho capito nulla. Non è che stai cercando la tua prima punizione di oggi, vero?”

“No, Padrone.” Questa volta la voce esce chiara anche se tremolante.

“Lays! Avvicinati. Sono comandi che conosci, devi solo obbedire come ti ho vista fare per giorni.”

In piedi sul tappeto, lentamente mi sfilo gli occhiali e la collana, mi guardo intorno senza sapere dove poggiarli, tu allunghi una mano per farteli passare e adagiarli sul tavolino al tuo fianco.

Mi accovaccio, per togliere le scarpe devo aprire il laccetto chiuso a mo’ di fibbia, mi rialzo, le sfilo e le poggio in ordine al mio fianco.

Slaccio il cardigan un po’ impacciata e lo lascio scivolare lungo le braccia, poi sfilo la canotta da sopra la testa mentre tutti i capelli si sparpagliano sulle spalle, erano tenuti fermi solo da una molletta che si è sfilata, in ultimo allargo l’elastico della gonna, la faccio scorrere verso il basso ed esco con i piedi dal cerchio che forma a terra.

Ti alzi e ti avvicini, ora che sono scalza si nota bene la differenza di altezza che c’è tra te e me, mi giri intorno toccandomi qui e là come fossi un pezzo di stoffa sul banco della merceria, mi pizzichi le braccia e le cosce, senti la consistenza della mia pelle, strofini tra le dita la punta dei miei capelli.

“Un morbido asciugamano…” accenni ed entrambi sappiamo che ti stai riferendo ad una brevissima conversazione sul prendere in bocca altri liquidi che non fossero sperma, in cui hai commentato che i miei capelli sarebbero della lunghezza perfetta per asciugare la punta del tuo fallo.

Ogni tuo tocco, ogni sfioramento, è un’onda di piacere che si irradia dalla mente in tutto il corpo, le palpebre calano senza controllo e la pelle si riempie di invisibili peli rizzati.

Ti fermi alle mie spalle, mi afferri per il collo e mi fai appoggiare con la nuca e la schiena al tuo petto, una mano scende sulle mie mutandine, indugia nei pressi dell’elastico ma non si infila al suo interno, percorre ancora alcuni centimetri e si posa sulla mia intimità, si insinua da sopra la stoffa per saggiare quanto io già sia desiderosa di te.

Gli umori che bagnano il tessuto sono la risposta alla tua curiosità.

Mi rimetti in piedi.

“Lays! Prosegui, lascia le calze.”

“Si, Padrone.” Scandisco sempre insicura.

Riprendo a spogliarmi, prima il reggiseno che slaccio da dietro non senza la solita litigata con i gancetti, da ultimo gli slip.
Tu sei rimasto alle mie spalle, ti sento respirare, mani sui fianchi mi fai ruotare verso di te. Mi tocchi un capezzolo.
“Lays! Sono già turgidi vedo.” Abbasso lo sguardo a terra.

Prendi un seno tra le mani e lo sollevi quasi a volerne saggiare il peso, la consistenza, il volume. La stessa mano scende sul ventre e percepisci che mi ritraggo istintivamente al tocco.

“Lays!”

Torno subito in posizione; la tua ispezione prosegue scorrendo con le dita lungo la gamba, poi mi sollevi un piede e lo osservi.

Neanche una schiava al mercato probabilmente si è mai sentita come mi sento in questo momento, o forse sì.

“Lays! Apri la bocca”, la osservi, “confermo la mia prima impressione: una bocca esperta, ma dovremo provarla.”

Torni a metterti seduto sulla poltrona, gambe e braccia conserte, e mi guardi. Io, che sempre più spesso rifuggo lo sguardo, nascondo il mio corpo, lo umilio in abiti trasandati, sono nuda davanti a te non solo più con la mente.

“Ho visto quello che dovevo vedere, Lays!” sentenzi dopo quella che mi è sembrata un’infinità di tempo.

Ed ecco le mie insicurezze riaffiorare tutte in una volta, “mi dirà di rivestirmi”, penso, “mi dirà che non gli piaccio, che non sono quello che sembrava, che non vado bene, che quel movimento impercettibile che ho fatto quando mi ha toccato il ventre non è accettabile”, la mia stessa voce mi rimbomba nella testa senza fermarsi.

“Lays!”

“Sì, Padrone?” dall’intonazione sembra quasi io stia ponendo una domanda.

“Dobbiamo pensare al plug adesso, faccia e busto sul tavolo, mostrami il tuo intimo.”

Attraverso la stanza ed eseguo l’ordine in carenza d’aria da respirare.

Mi appoggio al ripiano del tavolo e rimango lì esposta a novanta gradi, - una posizione che ti si addice, - mi hai detto il primo giorno. Il contratto ed il collare alla stessa altezza dei miei occhi.

Tu arrivi alle mie spalle ed armeggi con il plug anale, fatica un po’ ad uscire, come sempre; nonostante lo abbia lubrificato per bene il silicone con cui è prodotto tende ad incollarsi alla pelle delicata e piena di terminazioni nervose, quindi per farlo uscire senza darmi dolore – al momento non è tuo desiderio – lubrifichi un po’ l’apertura, come ho imparato a fare anch’io, e lo sfili con delicatezza. Come è fuori lo sostituisci con uno più adatto a quello che hai in mente.

“Lays! Questo è il mio dono per te, la mia serva obbediente, lo porterai a casa e lo indosserai al mio comando. Anche tutto il giorno se questo mi darà piacere.”

“Sì, Padrone.” Null’altro da dire, ne avevamo parlato, mi sarei stupita di non riceverlo oggi.

“Adesso, tu sai che ti devo punire, non sono pochi gli errori che hai già commesso di già, nulla di troppo grave, ma ho capito di te che le punizioni ti insegnano molto e dopo averle ricevute, visto che non le brami, non sbagli più.”

Inizi a stimolarmi il clitoride con movimenti circolari, muovi le dita in tondo e spingi al centro, lo senti emergere dalla sua minuscola custodia di carne.

Di colpo ti fermi.

So cosa stai facendo, mi stimoli a tempo fino al limite dell’orgasmo che blocchi fermandoti, il controllo lo fai guardando il mio viso e sentendo la respirazione con la mano aperta sulla mia schiena.

Come vedi che mi rilasso riprendi a stimolarmi, poi ti fermi di nuovo.

Ripeti i movimenti più volte fino a quando capisci che potrei non farcela più perché incomincio a chiamarti senza sosta.

“Padrone…”
“Padrone…”
“Padrone…”

È questo il momento in cui estrai il plug e lo sostituisci con il tuo membro. Turgido. Non ho visto quando ti sei spogliato, la guancia sul tavolo e lo sguardo verso il muro io, tu sei rimasto dal lato in cui non ti potevo vedere, per cogliermi di sorpresa ad ogni movimento.

L’ano non è ancora soddisfacentemente elastico per accoglierlo e un lamento mi sfugge dalle labbra.

“Lays!” mi taccio, nessuna parola o verso o rumore devo continuare ad emettere, è arrivata l’ora di dimostrare realmente la mia devozione incondizionata al Padrone.

“Lays! Il Padrone sta solo reclamando ciò che è suo, ti sei preparata per settimane per questo: una vagina calda e lubrificata, un ano elastico ed una bocca sapiente ed accogliente.”

“Sì Padrone”, sospiro al limite dell’acme, la stimolazione del clitoride e la penetrazione anale hanno contribuito a portarmi all’apice del piacere.

A questo punto ti fermi nuovamente, non è tuo desiderio io possa godere prima di te, non oggi almeno; esci dal mio corpo e mi fai inginocchiare ai tuoi piedi.

“Lays!” Fammi sentire quanto è accogliente e sapiente la tua bocca, ti concedo di darmi piacere adesso.”

Con entrambe le mani sulla mia testa mi avvicini al tuo uccello, la bocca si apre quasi per istinto di sopravvivenza, fuori la lingua inizio a leccare la punta del tuo pene lentamente, poco alla volta scendo verso i testicoli e li prendo in bocca con delicatezza, li succhio e li bagno con la mia saliva. Allarghi le gambe leggermente e mi insinuo sotto di te con la lingua fino a leccarti l’ano, mentre con una mano ti stringo l’asta e la massaggio coprendo e scoprendo la cappella con la stessa pelle del pene.

Un piccolo strattone ai capelli mi fa tornare su.

“Lays! Qual era l’ordine?”

“Farti sentire la mia bocca, Padrone.”

“E allora perché stai tergiversando?”

Con un colpo deciso mi spingi l’uccello fino in fondo alla gola, la punta dei denti lambisce il tuo ventre, appoggio le mani sulle tue cosce e mi lascio guidare da te. Desidero sia tu a comandare il mio movimento. La saliva che l’eccitazione mi fa produrre in abbondanza mi cola lungo il mento fino a terra perché non mi permetti di riprendere fiato né chiudere la bocca.

Sono giorni che desideri abusare della mia bocca, sentirla accogliere il tuo uccello, sentire la mia saliva inumidirlo e scorrere lungo i tuoi testicoli. Mi muovi la testa sempre più freneticamente fino a quando la schiacci deciso fino in fondo soffocandomi un po’ con il tuo sperma, che esce a fiotti contro la mia gola.

Restiamo in questa posizione per diverso tempo, alla fine mi lasci andare, mi sollevi da sotto le ascelle e mi metti seduta sul tavolo.

“Lays! Sdraiati.”

Mi spingo leggermente indietro e mi sdraio sulla schiena lasciando pendere le gambe dal tavolo. Mi infili le tue dita in bocca per lubrificarle e poi, una alla volta, dentro la vagina alla ricerca del mio piacere. Due dita dentro di me, il palmo dell’altra mano sul monte di Venere.

Il massimo del piacere arriva in contemporanea con un orgasmo vaginale e clitorideo, lo squirt è un fiotto di liquido trasparente che riempie il pavimento, le lacrime scorrono senza fine, annegando nelle orecchie.
Ansimo e piango.

"Lays! Scendi e accucciati accanto a me."

In mezzo alle mie lacrime mi allacci il collare, sei soddisfatto di questo nostro primo incontro e me lo sono meritato.
“Questo lo indosserai sono quando ci incontreremo, sarà mia cura custodirlo per te insieme al contratto, di contro posso auspicare tu sia in grado di procurarti qualcosa da mettere al collo che possa rappresentare al meglio il tuo essere una schiava, ora, e l’appartenenza ad un Padrone.”

“Sì, Padrone.”

Mi restituisci il plug ordinandomi di indossarlo nuovamente.

Ti attorcigli i miei capelli sul palmo della mano, un gesto di possesso affatto violento.

"Lays! Non si cambiano padroni come si fa con la biancheria. Tu adesso sei mia e non ho alcuna intenzione di lasciarti andare. Capisci Lays? Sono stato un Padrone anche troppo severo a volte, sono arrivato più volte a ripudiare una schiava, la punizione massima secondo il mio modo di pensare. Non ti voglio mai annoverare in quel numero, Lays. La strada è quella giusta, stai attenta a come la percorri."

Abbasso nuovamente gli occhi a terra, ho capito e come te, Padrone, non ho alcuna intenzione di permettere a me stessa che tu mi possa lasciar andare.

Alla fine mi inviti a consumare il pasto insieme a te; ancora non sai che per me mangiare è come avere un orgasmo, bisogna arrivare a provare il massimo del piacere.

“Lays! Datti una rassettata, rivestiti e andiamo.”

Collare e guinzaglio, un passo indietro, ti seguo sulla strada che desideri percorrere insieme a me.

[2024]
Disclaimer! Tutti i diritti riservati all'autore del racconto - Fatti e persone sono puramente frutto della fantasia dell'autore. Annunci69.it non è responsabile dei contenuti in esso scritti ed è contro ogni tipo di violenza!
Vi invitiamo comunque a segnalarci i racconti che pensate non debbano essere pubblicati, sarà nostra premura riesaminare questo racconto.
Votazione dei Lettori: 9.6
Ti è piaciuto??? SI NO


Commenti per Serva Vostra_M1:

Altri Racconti Erotici in bdsm:



Sex Extra


® Annunci69.it è un marchio registrato. Tutti i diritti sono riservati e vietate le riproduzioni senza esplicito consenso.

Condizioni del Servizio. | Privacy. | Regolamento della Community | Segnalazioni